Welfare a due facce: nelle grandi aziende è diffuso in modo capillare, per le piccole e medie imprese è quasi del tutto assente. Le indagini realizzate da alcuni provider di servizi di welfare presenti sul mercato, l’ultima quella svolta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in collaborazione con Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, rilevano questa netta divisione: tutte le grandi aziende e le multinazionali adottano piani di welfare e di flexible benefit (dai rimborsi per le spese di istruzione alle coperture sanitarie e ai contributi in conto interessi su mutui e prestiti). Solo poche piccole e medie imprese utilizzano i piani di welfare, beneficiando in minima parte delle opportunità che la normativa fiscale offre. Per le PMI italiane cresce l’interesse per il welfare, ma i benefit e i servizi erogati si limitano a buoni pasto, buoni benzina e buoni acquisto ovvero al sostegno al reddito; interventi più profondi di miglioramento del benessere e della conciliazione vita-lavoro dei dipendenti sono sporadici.
Perché questo doppio livello di diffusione?
- Cultura aziendale e mercati di riferimento: le grandi aziende e le multinazionali si confrontano con il mercato globale, dove la competizione è alta e il welfare rappresenta una fortissima leva attrattiva, un vero e proprio pilastro della cultura aziendale, spesso recepito dalla cultura della casa madre internazionale in cui queste misure sono ben più radicate.
- La normativa fiscale italiana attuale: vero e proprio ostacolo alla diffusione del welfare nelle PMI, pone barriere all’ingresso che disincentivano i piccoli, ovvero i premi di risultato (convertiti quasi solo dalle medie e grandi imprese) e l’accordo sindacale o territoriale, e rende spesso farraginoso e costoso l’utilizzo di alcuni benefit (es. l’operatività per mutui e prestiti) o pone tetti massimi di spesa non adeguati al costo della vita.
Dunque, se da una parte la cultura delle PMI non ha ancora assimilato il welfare come valore fondante, dall’altra, anche quando c’è sensibilità all’argomento, i costi di gestione di alcune misure o la mancanza di uffici interni strutturati per il welfare, con il conseguente ricorso a consulenti e provider esterni a pagamento, rende inefficace il piano, ne depotenzia il vantaggio fiscale.
Come agevolare la diffusione dei piani welfare nelle PMI?
Innalzare la soglia di non imponibilità dei fringe benefit aiuta, soprattutto per il sostegno al reddito, ma non risolve. Si potrebbe invece partire dall’aggiornamento della normativa, che oggi non contempla ad esempio i pagamenti on line e l’e-commerce, sistemi che semplificherebbero la gestione operativa. Si può pensare di utilizzare il sistema del rimborso spese per i servizi che oggi devono essere acquistati dal datore di lavoro, come quelli ricreativi. Anche una gestione più diretta della contrattualistica tra dipendente e fornitori di servizi, quindi non mediata del tutto dall’azienda, sarebbe un ottimo incentivo e snellirebbe le procedure. Per i mutui e i prestiti, il rimborso degli interessi passivi dietro presentazione della certificazione dell’avvenuto pagamento (come già avviene per alcuni enti di previdenza) di certo rappresenterebbe il modo più efficiente ed efficace per offrire questo servizio di welfare, invece dell’accredito contestuale.
Queste sono solo alcune possibili soluzioni concrete, che devono essere accompagnate da un buon piano comunicativo e formativo rivolto alle PMI e a tutti i potenziali veicoli di informazione (associazioni datoriali, provider, consulenti aziendali, etc.), in modo da raggiungere anche le microaziende e coinvolgere tutte le PMI in un processo di cambiamento globale ed epocale.
Approfondimenti: Ricerca della Fondazione Studi CdL